Cari lettori,
oggi parliamo del libro "La vita davanti a sé" che fu pubblicato nel 1975 con lo pseudonimo di Émile Ajar, in seguito si scoprì che il vero autore che aveva scritto questo testo, era Romain Gary.
Recensione
«Signor Hamil, si può vivere senza amore?»
Non ha risposto [...] «Si» ha detto, e ha abbassato la testa come se si vergognasse.
Momo è un orfano musulmano di dieci anni che vive assieme a un'anziana signora ebrea di nome Madame Rosa, che ha avuto una vita molto difficile, è stata prigioniera di Auschwitz e poi si è data al mercimonio a Parigi.
Sarà Momo il narratore di questa storia, la madre lo ha abbandonato, ha trascorso la sua infanzia in questa pensione clandestina dove vive con altri figli di prostitute, racconta del suo rapporto materno con Madame Rose e della malattia della donna che vorrebbe morire naturalmente senza cure.
Il quartiere così come la pensione sono in pessime condizioni, alcuni genitori vengono a trovare i loro figli ma per Momo non viene nessuno.
La storia che ci racconta Momo è pervasa da un senso di ingiustizia e di tristezza verso tutte le persone che sono emarginate, per la religione, per la provenienza geografica, perché sono malate, povere o anziane e vengono trascurate, isolate e derise dalla società. Questi bambini e Madame Rosa che se ne prende cura, si uniscono e si curano a vicenda e questo è sicuramente un bel messaggio di speranza.
Questo romanzo anche se è corto, è molto intenso, credo che l'autore voglia comunicarci che l'unica cosa che conta è l'amore, in ogni forma. Quando la vita è difficile, quando si è senza famiglia, quando anche solo respirare diventa complicato, l'unica cosa che ci tiene vivi è amare e se siamo fortunati essere amati.
Questo testo ci fa anche capire che i sentimenti non hanno confini religiosi o geografici, quello che conta sono le persone, cosa abbiamo dentro non da dove veniamo, che lavoro facciamo o in cosa crediamo.
Un testo amaro e dolce come la vita.
***
Trama
Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo.
Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L'anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l'attrice americana, l'adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui.
Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes , vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire.
Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d'Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l'inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.
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