Cari lettori,
oggi parliamo di un libro che ha avuto molto successo.
Devo essere sincera e dire che negli ultimi anni ho letto pochi se non pochissimi autori italiani contemporanei.
A scuola ho letti molto autori del passato, forse anche troppi e pensandoci erano tutti uomini, infatti delle scrittrici italiane del Novecento non ne ho letta quasi nessuna, ecco perchè quest'anno ho deciso di recuperare alcune delle autrici più famose del Novecento grazie a un gruppo di lettura. Siamo solo in tre ragazze però è un percorso interessante e sono felice di averlo intrapreso.
Ora questo non centra molto con questo libro ma posso dire che purtroppo questa storia non mi ha convinto molto e non c'è paragone con le autrici del passato, ecco perché forse leggendo dei classici italiani non riesco ad apprezzare a pieno questo romanzo. Quest'anno l'autrice è candidata al premio Strega con quello che è il seguito di questo libro e quindi ero curiosa di leggerlo.
Recensione
L'autrice usa con maestria le parole, scrive molto bene e questo si intuisce subito leggendo le prime pagine di questa storia, ma il grosso difetto di questo libro è che il tema drammatico che ci viene proposto doveva essere trattato in maniera più cruda e reale.
Certo probabilmente è solo un gusto personale però a questa storia manca l'anima, ma ora mi spiego meglio.
Il libro tratta un tema delicato, l'Arminuta, è una ragazza che da piccola viene affidata ad alcuni parenti ricchi e a quasi quattordici anni viene "scaricata" ai genitori naturali, che però vivono in condizioni più umili.
Scopre di avere una sorella e tre fratelli e non riesce ad adattarsi alla nuova realtà sentendosi fuori posto.
Il libro è corto, si lascia leggere in un pomeriggio ma quello che mi ha convinto di meno è il fatto che la Di Pietrantonio non sia andata completamente a "indagare" nell'anima dell'Arminuta, delineando questo personaggio in maniera superficiale.
L'autrice decide di non approfondire i suoi personaggi, scelta a mio avviso poco felice, purtroppo ho trovato che l'Arminuta sia fredda e distante e resti solo una spettatrice senza diventare la protagonista della sua storia, quasi non sembra reale, non ha una vera e propria reazione.
Sembra un personaggio interessante, il fatto di essere stata abbandonata da entrambe le sue madri, quella biologica e quella adottiva, dovrebbe far scattare un'empatia immediata che però non nasce subito ma nemmeno verso la fine.
L'Arminuta vuole capire perché quando aveva solo sei mesi è stata affidata a una cugina e perché è stata restituita senza motivo così da un giorno all'altro e soprattutto chi delle due madri può considerare tale.
Perfino la parola "mamma" non ha significato per lei, è sicuramente in cerca di una sua identità che non riesce a trovare, anche se non fa nulla per cambiare le cose come dicevo ha un ruolo passivo.
Per i suoi genitori è come se non ci fosse questa identità, per loro lei è solo un peso.
Adriana, la sorella, è forse il personaggio più interessante ma che comunque rimane un po' in disparte ma il rapporto che si crea con l'Arminuta è sicuramente molto intenso e di complicità.
L'autrice usa sapientemente la sua capacità comunicativa, la sua scrittura è solida, asciutta ed essenziale però va a discapito di una storia che non riesce a convincere del tutto, che trasmette poco o nulla al lettore.
Il libro sembra essere solo di chi lo ha scritto, la Di Pietrantonio l'ha tenuto per sé e non l'ha mai lasciato andare e il lettore non riesce a immedesimarsi completamente in questa storia.
Ho trovato la prima parte molto più interessante, la descrizione di quella nuova realtà da come passi dalla ricchezza alla miseria, ma poi l'autrice cambia registro e ci fa vedere un lato meno realista e forse più forzato, che sia stato a favore di una maggiore vendibilità a livello editoriale? Però ne ha fatto le spese la storia che risulta "finta".
Un vero peccato.
***
Trama
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
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